La Corte di Cassazione (sent. n. 38299/ 2023) è intervenuta per individuare i profili di illegittimità penale, sussunti nella violazione degli articoli 640 – bis e 316 -ter c.p., dello sconto in fattura illegittimo in relazione a opere edilizie mai realizzate e falsamente dichiarate come compiute. I casi trattati riguardano un ricorsoavverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame che confermavano l’applicazione, nei confronti di un imputato, della misura cautelare degli arresti domiciliari per i reati di cui agli articoli 416 bis, 640 – bis, 316-ter, 648 bis e 648 ter c.p.
Il ricorrente lamentava l’illegittimità dell’ordinanza per i seguenti motivi:
- la stessa si basava su intercettazioni telefoniche e ambientali disposte in un diverso procedimento penale, senza che fosse provata la sussistenza della connessione tra i procedimenti;
- non sussistevano gravi indizi di colpevolezza per il delitto di trasferimento fraudolento di valori, anche perché i reati ipotizzati non avevano generato, nel patrimonio degli imputati incrementi patrimoniali, come accertato attraverso l’esame delle dichiarazioni dei redditi che dimostravano che gli stessi non vivrebbero di redditi illeciti;
- non sussistevano i gravi indizi di colpevolezza del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche.
Per i ricorrenti il Giudice di merito avrebbe errato nell’affermare che gli indagati avrebbero posto in essere un meccanismo criminoso, attraverso due distinte condotte: con la prima avrebbero ottenuto dallo Stato, mediante false prospettazioni e l’esercizio dello sconto in fattura, il riconoscimento di un credito di imposta, successivamente ceduto ad un gruppo imprenditoriale, mentre con la seconda avrebbero tratto in inganno una società, facendole credere, contrariamente al vero, che i crediti ceduti fossero di origine lecita, in quanto inerenti a lavori effettivamente eseguiti, così creando i presupposti perché la predetta società ponesse in detrazione una somma di denaro.
Per la difesa degli indagati detta condotta è assorbita in quella di truffa aggravata (art. 640 – bis c.p.), poiché il reato si consuma al momento che la somma entra nella materiale disponibilità degli indagati, ossia al momento dell’utilizzo dei crediti posti in compensazione;
- non sussistevano i gravi indizi di colpevolezza per i rimanenti reati e non ricorrevano gli estremi per l’irrogazione della misura cautelare, ai sensi dell’art.274 c.p.p.
La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso, poiché dichiarava l’esistenza della connessione tra i procedimenti citati dal ricorrente, per cui era pienamente utilizzabile dal Tribunale del Riesame il compendio probatorio delle intercettazioni telefoniche e ambientali.
Inoltre, il Giudice della legittimità sosteneva l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato dell’art. 316-ter c.p. contestato all’indagato in quanto richiama la sua giurisprudenza (sent. n. 9060/2022), per cui il reato si consuma nel luogo in cui il soggetto erogante dispone l’accredito dei contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre provvidenze in favore di chi ne abbia indebitamente fatto richieste, perché con tale atto si verifica la dispersione del denaro pubblico, e non in quello in cui avviene la materiale apprensione degli incentivi.
Per la Corte di Cassazione con il riconoscimento del credito di imposta, immediatamente monetizzabile, il reato è già stato consumato, in quanto l’ente erogatore non è più nella possibilità di recuperare quanto erogato ed il soggetto beneficiario è già venuto l’accrescimento del proprio patrimonio: pertanto, per la sussistenza del credito, non è necessaria la dimostrazione, da parte dell’organo dell’accusa, di un incremento del patrimonio del reo. La Corte di Cassazione conclude che tale questione è stata correttamente inquadrata dal Tribunale del Riesame nell’ordinanza impugnata, di cui conferma l’integrale argomentazione anche in relazione ai motivi di ricorso dell’imputato.